IRCamminare insieme


Vai ai contenuti

Menu principale:


Indice Racconti di Natale

Storie

I racconti di Natale:

L'albero generoso


Dove finirono l'oro, l'incenso e la mirra?


Un fagotto tintinnante

La sorpresa

Il lupo di Betlemme

T-rex e l’alberosauro natalizio

La pecora nera alla grotta di Betlemme

Arrivarono solo in tre

Il miracolo di Natale

La leggenda di San Nicola

La leggenda del vischio

Fiaba di Santa Lucia

La leggenda dell’Albero di Natale

Natale a Regalpietra

È Natale!

Le stelle d'oro

Giuseppe e il pastore

Dio ci vuole incontrare

Il pastore

Uno dei re magi

Napoli, il 26 dicembre 1916

I RE MAGI


L'albero generoso
(Shel Silverstein)

C'era una volta un albero che amava un bambino.
Il bambino veniva a visitarlo tutti i giorni.
Raccoglieva le sue foglie con le quali intrecciava delle corone per giocare al re della foresta. Si arrampicava sul suo tronco e dondolava attaccato al suoi rami. Mangiava i suoi frutti e poi, insieme, giocavano a nascondino.
Quando era stanco, il bambino si addormentava all'ombra dell'albero, mentre le fronde gli cantavano la ninna nanna.
Il bambino amava l'albero con tutto il suo piccolo cuore. E l'albero era felice.
Ma il tempo passò e il bambino crebbe.
Ora che il bambino era grande, l'albero rimaneva spesso solo.
Un giorno il bambino venne a vedere l'albero e l'albero gli disse:
"Avvicinati, bambino mio, arrampicati sul mio tronco e fai l'altalena con i miei rami, mangia i miei frutti, gioca alla mia ombra e sii felice".
"Sono troppo grande ormai per arrampicarmi sugli alberi e per giocare", disse il bambino. "Io voglio comprarmi delle cose e divertirmi. Voglio dei soldi. Puoi darmi dei soldi?".
"Mi dispiace", rispose l'albero "ma io non ho dei soldi. Ho solo foglie e frutti. Prendi i miei frutti, bambino mio, e va' a venderli in città. Così avrai dei soldi e sarai felice".
Allora il bambino si arrampicò sull'albero, raccolse tutti i frutti e li porto via.
E l'albero fu felice.
Ma il bambino rimase molto tempo senza ritornare... E l'albero divenne triste.
Poi un giorno il bambino tornò; l'albero tremò di gioia e disse:
"Avvicinati, bambino mio, arrampicati sul mio tronco e fai l'altalena con i miei rami e sii felice".
"Ho troppo da fare e non ho tempo di arrampicarmi sugli alberi", rispose il bambino. "Voglio una casa che mi ripari", continuò. "Voglio una moglie e voglio dei bambini, ho dunque bisogno di una casa. Puoi danni una casa?".
"Io non ho una casa", disse l'albero. "La mia casa è il bosco, ma tu puoi tagliare i miei rami e costruirti una casa. Allora sarai felice".
Il bambino tagliò tutti i rami e li portò via per costruirsi una casa. E l'albero fu felice.
Per molto tempo il bambino non venne. Quando ritornò, l'albero era così felice che riusciva a malapena a parlare.
"Avvicinati, bambino mio", mormorò "vieni a giocare".
"Sono troppo vecchio e troppo triste per giocare", disse il bambino.
"Voglio una barca per fuggire lontano di qui. Tu puoi darmi una barca?".
"Taglia il mio tronco e fatti una barca", disse l'albero. "Così potrai andartene ed essere felice".
Allora il bambino tagliò il tronco e si fece una barca per fuggire. E l'albero fu felice... ma non del tutto.
Molto molto tempo dopo, il bambino tornò ancora.
"Mi dispiace, bambino mio", disse l'albero "ma non resta più niente da donarti... Non ho più frutti".
"I miei denti sono troppo deboli per dei frutti", disse il bambino.
"Non ho più rami", continuò l'albero "non puoi più dondolarti".
"Sono troppo vecchio per dondolarmi ai rami", disse il bambino.
"Non ho più il tronco", disse l'albero. "Non puoi più arrampicarti".
"Sono troppo stanco per arrampicarmi", disse il bambino.
"Sono desolato", sospirò l'albero. "Vorrei tanto donarti qualcosa... ma non ho più niente. Sono solo un vecchio ceppo. Mi rincresce tanto...".
"Non ho più bisogno di molto, ormai", disse il bambino. "Solo un posticino tranquillo per sedermi e riposarmi. Mi sento molto stanco".
"Ebbene", disse l'albero, raddrizzandosi quanto poteva "ebbene, un vecchio ceppo è quel che ci vuole per sedersi e riposarsi. Avvicinati, bambino mio, siediti. Siediti e riposati".
Così fece il bambino.
E l'albero fu felice.


Questa sera siediti in un angolo tranquillo e aiuta il tuo cuore a ringraziare tutti gli "alberi" della tua vita.



Dove finirono l'oro, l'incenso e la mirra?
(Bruno Ferrero, Storie di Natale)

I

Anche se non lo davano a vedere, i più eccitati erano l'asino e il bue. Non riuscivano ad addormentarsi. Quella notte e quella giornata erano state meravigliosamente caotiche: la nascita del bambino, gli angeli, i pastori, la stella e poi l'arrivo dei tre re con i manti di stoffe ricamate e le pellicce e i loro strani quadrupedi con la gobba. E soprattutto il luccichio degli scrigni che racchiudevano i doni portati dai tre re. Li avevano ammirati tutti e ora stavano là, abbandonati sulla paglia, mentre la donna cullava dolcemente il bambino e l'uomo dalle mani grandi e forti attizzava il fuoco e porgeva un po' di fieno alle due bestie.
Tra le fessure sconnesse della baracca, altri due occhi fissavano eccitati i doni dei re. Erano occhi pieni di ingenua astuzia. Non avevano perso un solo attimo della giornata e ora osservavano con interesse il primo sbadiglio di stanchezza fiorito sulla bocca dell'uomo. Erano gli occhi di Disma, il più bravo dei ladruncoli di Betlemme, agile e svelto come un furetto.
Il bambino si addormentò per primo, poi la madre si assopì sul mucchio di paglia che l'uomo aveva preparato e rassettato. L'uomo aspettò che il fuoco si spegnesse, poi si abbandonò anche lui sulla paglia con un sospiro di stanchezza e si addormentò. L'asino e il bue lo imitarono. Un silenzio profondo avvolse la baracca.

II

Un fagotto tintinnante
Disma scivolò nell'ombra e si avvicinò alla porta. Era sbarrata da un robusto paletto. Non poteva scardinarla: avrebbe svegliato tutti. Esaminò le pareti, sfiorandole con la mano. Un' assicella si mosse. Disma intuì che poteva allargare la fessura quel tanto che bastava per permettergli di infilarsi dentro la vecchia stalla. Con consumata abilità, il ragazzo spostò l'asse cercando di non farlo cigolare e si infilò nel varco con le movenze sinuose di un gatto.
Si mosse leggero, cercando di abituare gli occhi all'oscurità. I tre scrigni erano sotto la culla improvvisata del bambino, illuminati dall'ultimo bagliore delle braci del fuoco.
Il bue sbuffò nel sonno e l'asino scalciò nella paglia. Sognavano anche loro. Disma trattenne il fiato, immobile. Nella stalla i respiri ripresero regolari.
Il ragazzo si mosse rapidamente. Afferrò i tre scrigni e li infilò nella bisaccia di tela che portava a tracolla. Diede un'occhiata al bambino e gli parve di vedere sul suo piccolo viso un sorriso, scosse le spalle e uscì dalla fessura che aveva aperto. Quando fu fuori della stalla, sorridendo rimise a posto l'assicella che aveva spostato per entrare, poi si allontanò di corsa. Faceva grandi balzi di gioia, tenendo con le due mani il fagotto tintinnante della refurtiva. Ripassava a memoria il contenuto e pensava eccitato alla bella somma che ne avrebbe ricavato. Il più grosso degli scrigni conteneva monili, bracciali e monete d'oro, il secondo era pieno di purissimo incenso e il terzo conteneva una fiala di preziosissima mirra. Un colpo di fortuna incredibile. Doveva solo essere prudente e nascondere tutto bene. Il mondo era pieno di ladri.

III

La sorpresa
Entrò in casa dal tetto, come faceva di solito. Non aveva né padre né madre e il vecchio parente che lo teneva in casa non si curava di lui.
Nella sua stanzetta, sotto il pavimento ricoperto di paglia, Disma aveva scavato una nicchia in cui nascondeva le sue cose preziose.
"Terrò nascosti per qualche mese l'oro, l'incenso e la mirra. Poi li venderò un poco alla volta, a Gerusalemme o anche a Damasco, dove non desterà sospetti..." pensava.
Accese una lampada ad olio finemente incisa che proveniva dall'atrio della casa del centurione romano, che la stava ancora cercando, ed esaminò il bottino. Aprì con cautela il primo scrigno e non riuscì a trattenere un'imprecazione stizzita: "Ma che diavolo è successo?". Spalancò con furia gli altri due astucci, guardò, annusò e poi imprecò ancora più rabbiosamente. Qualcuno gli aveva giocato uno scherzo terribile. Forse quell'uomo era molto più furbo di quanto desse a vedere. Invece dell'oro, lo scrigno conteneva un grosso martello, al posto dell'incenso c'erano tre grossi chiodi e la bottiglietta, invece della mirra raffinata, conteneva volgare aceto.
"Accidenti, accidenti! Che me ne faccio di questa robaccia? La rifilerò ai soldati romani per qualche moneta...".


IV

Tre croci
Passarono gli anni. Disma era diventato il più ricco e sfrontato predone del deserto. I suoi uomini compivano razzie nelle più ricche città d'Oriente e l'esercito di Roma era stato costretto più volte a scendere a patti con lui. Ma un giorno, arrivò da Roma un governatore ambizioso di nome Ponzio Pilato che, per fare carriera e ingraziarsi i notabili di Gerusalemme, decise di catturare Disma. Ci riuscì con un tranello e Disma fu condannato alla pena più terribile ed infamante: la morte mediante crocifissione.
Erano in tre a salire sul Golgota, il luogo delle condanne, poco fuori Gerusalemme, dove erano state preparate tre croci. Disma conosceva il vecchio brigante legato con lui, ma non riusciva a spiegarsi il terzo condannato. Aveva il volto nobile e pieno di bontà, anche sotto i segni della tortura. Dicevano che era un profeta di Galilea di nome Gesù, che faceva miracoli, che era stato condannato perché si era proclamato Figlio di Dio e Messia.
Gli occhi gelidi e feroci di Disma si incontrarono con quelli del terzo condannato. Per il bandito tutto divenne stranamente diverso: la sua rabbia feroce svanì e si sentì stranamente in pace.
Il boia cominciò il suo miserabile compito con il profeta galileo: impugnò un grosso martello e tre grossi chiodi, mentre un soldato inzuppava una spugna di aceto. Improvvisamente Disma capì: eccoli i doni dei re che lui aveva rubato tanti anni prima in una stalla di Betlemme, dove c'erano un uomo e una madre e un bambino. Quel bambino era il Messia! Quindi anche lui aveva contribuito a crocifiggere il Figlio di Dio... Con le lacrime agli occhi, Disma sentì che Gesù diceva: "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno".
Con la solita insensibilità, i soldati si misero a litigare per dividersi le vesti dei condannati. Quando le tre croci furono innalzate con il loro carico di dolore, la gente cominciò a farsi beffe dei condannati. Si accanivano particolarmente contro Gesù. I capi del popolo lo schernivano: "Ha salvato tanti altri, ora salvi se stesso, se egli è veramente il Messia scelto da Dio". Anche i soldati lo schernivano: si avvicinavano a Gesù, gli davano da bere aceto e gli dicevano: "Se tu sei davvero il re dei Giudei salva te stesso!".
L'altro bandito crocifisso si era unito agli schernitori e insultava Gesù: "Non sei tu il Messia? Salva te stesso e noi!". Disma lo rimproverò con asprezza: "Tu che stai subendo la stessa condanna non hai proprio nessun timore di Dio? Per noi due è giusto scontare il castigo per ciò che abbiamo fatto, lui invece non ha fatto nulla di male".
Poi aggiunse: "Gesù, ricordati di me quando sarai nel tuo regno".
Gli occhi del Messia torturato e morente guardarono Disma con bontà infinita, poi il feroce bandito udì le parole più belle e amorevoli di tutta la sua vita disperata: "Ti assicuro che oggi sarai con me in paradiso".


Il lupo di Betlemme
(Bruno Ferrero, Il segreto dei pesci rossi)
C'era una volta un lupo. Viveva nei dintorni di Betlemme. I pastori lo temevano tantissimo e vegliavano l'intera notte per salvare le loro greggi. C'era sempre qualcuno di sentinella, così il lupo era sempre più affamato, scaltro e arrabbiato.
Una strana notte, piena di suoni e luci, mise in subbuglio i campi dei pastori. L'eco di un meraviglioso canto di angeli era appena svanito nell'aria. Era nato un bambino, un piccino, un batuffolo rosa, roba da niente.
Il lupo si meravigliò che quei rozzi pastori fossero corsi tutti a vedere un bambino.
"Quante smancerie per un cucciolo d'uomo" pensò il lupo. Ma incuriosito e soprattutto affamato com'era, li seguì nell'ombra a passi felpati. Quando li vide entrare in una stalla si fermò nell'ombra e attese.
I pastori portarono dei doni, salutarono l'uomo e la donna, si inchinarono deferenti verso il bambino e poi se ne andarono. Gli occhi e le zanne del lupo brillarono nella notte: stava per giungere il suo momento. L'uomo e la donna stanchi per la fatica e le incredibili sorprese della giornata si addormentarono. "Meglio così" pensò il lupo, "comincerò dal bambino".
Furtivo come sempre scivolò nella stalla. Nessuno avvertì la sua presenza. Solo il bambino. Spalancò gli occhioni e guardò l'affilato muso che, passo dopo passo, guardingo ma inesorabile si avvicinava sempre più. Gli occhi erano due fessure crudeli. Il bambino però non sembrava spaventato.
"Un vero bocconcino" pensò il lupo. Il suo fiato caldo sfiorò il bambino. Contrasse i muscoli e si preparò ad azzannare la tenera preda.
In quel momento una mano del bambino, come un piccolo fiore delicato, sfiorò il suo muso in una affettuosa carezza. Per la prima volta nella vita qualcuno accarezzò il suo ispido e arruffato pelo, e con una voce, che il lupo non aveva mai udito, il bambino disse: "Ti voglio bene, lupo".
Allora accadde qualcosa di incredibile, nella buia stalla di Betlemme. La pelle del lupo si lacerò e cadde a terra come un vestito vecchio. Sotto, apparve un uomo. Un uomo vero, in carne e ossa. L'uomo cadde in ginocchio e baciò le mani del bambino e silenziosamente lo pregò.
Poi l'uomo che era stato un lupo uscì dalla stalla a testa alta, e andò per il mondo ad annunciare a tutti :"E' nato il bambino divino che può donarvi la vera libertà! Il Messia è arrivato! Egli vi cambierà!".

Cambiare le creature semplicemente amandole. Questo era il piano di Dio. Forse funziona con le belve...


Lo scoiattolo Bernardo
(Bruno Ferrero, Tutte storie)
C'era una volta, nel parco di un vecchio castello, ormai diroccato, una grande, antica e generosa quercia. Proprio nella quercia, alla biforcazione di due rami, cinque allegri scoiattoli striati avevano costruito la loro casa.
La casa degli scoiattoli aveva sette capaci magazzini, spalancati come bocche di uccellini sempre affamati. Per tutta l'estate, gli scoiattoli non facevano che correre, giorno e notte, per riempirli di cibarie. Sapevano che l'inverno era lungo e crudele e dovevano affrontarlo con la dispensa piena, se volevano arrivare a vedere la primavera. Gli scoiattoli non si riposavano mai: si davano da fare freneticamente per raccogliere ed ammassare grano e noci, ghiande e bacche.
Lavoravano tutti. Tutti, tranne Bernardo.
Bernardo era uno scoiattolo dal musetto intelligente, le orecchie da filosofo, il pelame lucente e una bella coda folta. Ma mentre i suoi compagni correvano avanti e indietro trafelati con le zampine cariche di provviste, se ne stava assorto con il muso all'aria e gli occhi chiusi. "Bernardo, perché non lavori?", chiesero gli scoiattoli.
"Come, non lavoro", rispose Bernardo un po' offeso.
"Sto raccogliendo i raggi del sole per i gelidi giorni d'inverno".
E quando videro Bernardo seduto su una grossa pietra, gli occhi fissi sul prato, domandarono: "E ora, Bernardo, che fai?".
"Raccolgo i colori" rispose Bernardo con semplicità. "L'inverno è così grigio".
Quattro scoiattolini correvano e correvano, sempre più affannati. I magazzini si riempivano di nocciole e bacche e squisitezze. Bernardo, invece, se ne stava accoccolato all'ombra di una pianta.
"Stai sognando, Bernardo?", gli chiesero con tono di rimprovero.
Bernardo rispose: "Oh, no! Raccolgo parole. Le giornate d'inverno sono tante e sono lunghe. Rimarremo senza nulla da dirci".
Venne l'inverno e quando cadde la prima neve, i cinque scoiattolini si rifugiarono nella loro tana dentro la grande quercia. I primi giorni furono pieni di felicità. Gli scoiattolini facevano una gran baldoria, mentre fuori fischiava il vento gelido. Suonavano le nacchere con i gusci di noce, cantavano e ballavano. E prima di dormire con il pancino ben pieno si divertivano a raccontare storielle divertenti sugli allocchi allocchiti e sulle volpi rimbambite. Ma, a poco a poco, consumarono gran parte delle provviste. I magazzini si vuotarono uno dopo l'altro, finirono le nocciole, poi le ghiande (anche quelle amare), poi le bacche. Rimasero solo le radici meno tenere. Nella tana si gelava e nessuno aveva più voglia di chiacchierare.
Improvvisamente si ricordarono dello strano raccolto di Bernardo. Del sole, dei colori, delle parole.
"E le tue provviste, Bemardo?", chiesero.
Bernardo si arrampicò su un grosso sasso e cominciò a parlare: "Chiudete gli occhi. Ora sentite i caldi, dorati raggi del sole che si posano sulla vostra pelliccia; sono lucenti, giocano con le foglie, sono colate d'oro...". E mentre Bernardo parlava, i quattro scoiattolini cominciarono a sentirsi più caldi. Che magia era mai quella?
"E i colori, Bernardo?", chiesero ansiosamente. "Chiudete gli occhi". E quando parlò dell'azzurro dei fiordalisi, dei papaveri rossi nel frumento giallo, delle foglioline verdi dell'edera, videro i colori come se avessero tanti piccoli campicelli in testa.
"E le parole, Bernardo?". Bernardo si schiarì la gola, aspettò un attimo, e poi, come da un palcoscenico, disse: "Nascosto nella corteccia di un albero, nel bel mezzo di una foresta meravigliosa, vive uno scoiattolo dal pelo rosso, lo sguardo brillante e la coda a pennacchio. Questo straordinario scoiattoletto porta sul capo una corona di noci. È un genio: possiede certi poteri e conosce molti segreti.
Quando un coniglietto è ferito da un cacciatore, è il genio scoiattolo che dice qual è la pianta utile per guarire la ferita.
Quando un uccellino si rompe un'ala è il genio scoiattolo che gli applica un supporto di sottili aghi di pino perché possa volare ancora.
Ma la cosa che gli riesce meglio è guarire i cuori malati di tristezza e di paura. "Ci vogliono tante coccole, per vivere", dice il genio scoiattolo, "e tanta tenerezza. Perché tutte le creature del bosco sono come i fiorellini che appassiscono se non sono baciati dai raggi di sole. Quando un animaletto è triste, io faccio il raggio di sole. E lui riapre i petali del suo cuore".
Quando Bernardo tacque, i quattro scoiattolini applaudirono e gridarono: "Bernardo, sei un poeta".
Bernardo arrossì, si inchinò e disse modestamente: "Lo so, cari musetti".
La pecora
(Bruno Ferrero, Solo il vento lo sa)
Appena creata, la pecora scoprì di essere il più debole degli animali. Viveva con il continuo batticuore di essere attaccata dagli altri animali, tutti più forti e aggressivi. Non sapeva proprio come fare a difendersi.
Tornò dal Creatore e gli raccontò le sue sofferenze.
"Vuoi qualcosa per difenderti?", le chiese amabilmente il Signore.
"Sì".
"Che ne dici di un paio di acuminate zanne?".
La pecora scosse il capo: "Come farei a brucare l'erba più tenera? Inoltre mi verrebbe un'aria da attaccabrighe".
"Vuoi dei poderosi artigli?".
"Ah no! Mi verrebbe voglia di usarli a sproposito".
"Potresti iniettare veleno con la saliva", continuò paziente il Signore.
"Non se ne parla neanche. Sarei odiata e scacciata da tutti come un serpente".
"Due robuste corna, che ne dici?".
"Ah no! E chi mi accarezzerebbe più?".
"Ma per difenderti ti serve qualcosa per far del male a chi ti attacca...".
"Far del male a qualcuno? No, non posso proprio. Piuttosto resto come sono".

Siamo, in un certo senso, come piccoli animali senza nemmeno una pelliccia o denti aguzzi per difenderci. Ciò che ci protegge non è la cattiveria ma l'umanità: la capacità di amare gli altri e di accettare l'amore che gli altri vogliono offrirci.
Non è la nostra durezza a darci il tepore la notte, ma la tenerezza, che fa desiderare agli altri di scaldarci. La vera forza dell'uomo è la sua tenerezza.

I doni di Dio

(Bruno Ferrero, L'importante è la rosa)
Un giovane sognò di entrare in un grande negozio. A far da commesso, dietro il bancone c'era un angelo.
"Che cosa vendete qui?", chiese il giovane.
"Tutto ciò che desidera", rispose cortesemente l'angelo.
Il giovane cominciò ad elencare: "Vorrei la fine di tutte le guerre nel mondo, più giustizia per gli sfruttati, tolleranza e generosità verso gli stranieri, più amore nelle famiglie, lavoro per i disoccupati, più comunione nella Chiesa e... e...".
L'angelo lo interruppe: "Mi dispiace, signore. Lei mi ha frainteso. Noi non vendiamo frutti, noi vendiamo solo semi".

Una parabola di Gesù comincia così: "Il regno di Dio è come la buona semente che un uomo fece seminare nel suo campo...".
Il Regno è sempre un inizio. Un minuscolo, quasi trascurabile inizio. Dio stesso è venuto sulla terra come un seme, un fermento, un minuscolo germoglio.
Un seme è un miracolo. Anche l'albero più grande nasce da un seme piccolissimo. La tua anima è un giardino in cui sono seminate le imprese e i valori più grandi.
Li lascerai crescere?
Un seme è un miracolo. Anche l'albero più grande nasce da un seme piccolissimo. La tua anima è un giardino in cui sono seminate le imprese e i valori più grandi. Li lascerai crescere?



Torna ai contenuti | Torna al menu